C’è un pensare che è immaginare, quando ad esempio immaginiamo cosa potremmo fare, c’è un pensare che è fantasticare, quando ad esempio immaginiamo l’arrivo del principe azzurro o della fata turchina, che è più simile al sognare, c’è un pensare che è ricordare, c’è un pensare che è progettare, c’è un pensare che è rimuginare.
Tra di noi ci sono alcuni che trascorrono gran parte della propria esistenza immersi nel mondo dei pensieri. C’è un pensare che è immaginare, quando ad esempio immaginiamo cosa potremmo fare, c’è un pensare che è fantasticare, quando ad esempio immaginiamo l’arrivo del principe azzurro o della fata turchina, che è più simile al sognare, c’è un pensare che è ricordare, c’è un pensare che è progettare, c’è un pensare che è rimuginare. Potremmo declinare il pensare su un continuum che va dal pensare pregno di emotività in cui all’interno si può viaggiare al pensare come fredda mera astrazione.
Quando parlo del “mondo pensato” mi riferisco al mondo “visto” da tutte quelle persone che hanno eletto il pensare a primo canale di approccio nei confronti dell’esistenza. Pensare è un po’ come “chiudere il cerchio”; questa chiusura di cerchi, potenzialmente infinita, è l’operazione costante che mette in atto il cosiddetto “carattere di pensiero”: tesi, antitesi, sintesi e così di nuovo e di nuovo e di nuovo. Un pensatore è di per sé portato a farsi continuamente domande, a confrontare, a trovare somiglianze e differenze, falle logiche, ed a darsi una risposta, continuamente.
Il pensare è un’attività frenetica e stressante che spesso porta l’individuo a tralasciare il contatto con il proprio organismo preferendo passare più tempo esclusivamente nel mondo dell’astrazione. La velocità e la predominanza del pensiero tendono a voler relegare sullo sfondo sia il mondo percettivo-sensoriale che quello emotivo (che costantemente ci pervadono). Un individuo che pensa molto può alle volte sembrare lento ad un occhio esterno, ma ad un occhio interno… Si potrebbe ipotizzare che queste persone abbiano sviluppato questa conformazione caratteriale proprio nel tentativo di non stare a contatto con quello che sentivano, che probabilmente non era di loro gradimento (soggetti evitanti).
Per alcuni membri di questo gruppo questa condizione non è vissuta come disfunzionale, non crea problematiche, è ottimale così come è. In altri soggetti invece può (in)sorgere il desiderio o il bisogno di cambiare qualcosa. Per un soggetto improntato a restare molto tempo nel mondo del pensiero entrare in contatto con se stesso, pensare di meno, non significa altro che iniziare a sentire di più. È questo il modo per rallentare internamente: sentire e stare. Dove per “stare” si intende avere a che fare con quello che si sente in quel determinato momento.
Le persone “di pensiero” possono essere molto sicure dei propri ragionamenti ed allo stesso tempo essere piene di insicurezze. Il pensiero infatti non è un oggetto finito e come detto procede all’infinito per tesi ed antitesi. Con il pensiero si possono costruire solidi ponti stradali e fare i calcoli giusti per far stare in piedi grattacieli; ma da un punto di vista esistenziale il pensiero fornisce non molte certezze, insomma, si potrebbe dire che sul pensiero non ci si può appoggiare i piedi. Il pensatore può trovare maggiore serenità, piacevole lentezza, entrando in contatto con l’unica cosa di “sicuramente vero” che ha a disposizione in quel momento: ciò che sta sentendo. Tutto il resto è astrazione.
“Quello che si sente” è qualcosa di tangibile; iniziare a prenderlo in considerazione per quello che effettivamente è, cioè qualcosa di assolutamente vero per la persona che in quel momento lo sta sperimentando, può portare il soggetto “di pensiero” a cambiare molto del proprio approccio all’esistenza. Egli può riuscire a rallentare ad esempio, nel caso lo desiderasse, può avere meno istinti di fuga e riuscire a stare meglio in situazioni dove prima non stava bene, nel caso lo desiderasse, può metabolizzare in modo migliore i propri vissuti emotivi appoggiando i pensieri sopra ad essi invece che lasciarli appesi a fluttuare nel vuoto.
Ovviamente “ciò che si sente” cambierà, e un attimo dopo sentiremo qualcos’altro. Si potrebbe dire che con il pensare si cerca una verità che non arriva mai; con il sentire si ha una verità che muta costantemente. Immergersi in questa parte di mondo che tiene in considerazione sensazioni ed emozioni, in questo aspetto della realtà precedentemente tralasciato e snobbato, significa per la persona di pensiero avere un approccio all’esistenza completamente nuovo, una ventata di aria fresca che apre a nuovi orizzonti e possibilità precedentemente ignorate. È un po’ come passare “dal preoccuparsi all’occuparsi”. Pensare è una funzione importantissima dell’essere umano. Pensare e basta però fa male, da funzione utile può trasformarsi in un meccanismo di difesa che blocca la persona all’interno dei suoi inferni.
Il mondo pensato e la paura
Come già detto un “carattere di pensiero” cerca di chiudere il cerchio, di capire, e di prevedere.
Soprattutto il prevedere appare collegabile intuitivamente con l’emozione di paura: prevedere gli eventuali intoppi, le problematiche, i pericoli, le inutili perdite di tempo che potrebbero far trovare il soggetto in situazioni non preventivate (con possibile pericolosa insorgenza del mondo emotivo).
Ciò che è nuovo, ciò che esce dal “programma”, dal “seminato”, dalla zona di comfort, porta con sé eventuali possibili pericoli, ansie, stress, di cui “si potrebbe fare volentieri a meno”. Capite bene che questa approccio alla vita teso alla preoccupazione e all’evitamento se portato agli estremi può causare sotto vari aspetti “il blocco” della persona.