Il rapporto che abbiamo con le emozioni non è per tutti lo stesso: c’è chi vive avendole costantemente in primo piano e c’è invece chi dà più importanza al mondo della logica o a quello del fare. Le emozioni esistono perché ci servono per orientarci nel mondo: “sono a mio agio in questo luogo? Sono allegro, impaurito, diffidente, attratto?”
Le emozioni ci danno dei segnali che spingono all’azione; sono la bussola ancestrale che ci mette a disposizione il nostro organismo. Non ha senso catalogare le emozioni in positive e negative, anche se tendenzialmente possiamo dire che la paura e la rabbia vengano vissute peggio della gioia.
Proviamo ad immaginare un caso in cui insorgesse gioia in un momento dove invece servirebbe rabbia: ad esempio quando i nostri cuccioli sono sotto attacco di un predatore feroce. Immaginate mamma tasso che quando vede arrivare il ghiottone che punta i suoi cuccioli gli dice “salve signor ghiottone, evviva, prego si sbafi pure i miei piccoli”. Ho mischiato intenzionalmente il piano animale e quello umano perché, in gran parte, è di quel livello di esistenza lì che stiamo parlando quando ci riferiamo squisitamente al mondo emotivo. Mentre il pensiero, nel corso della filogenesi umana, si è evoluto e continua ad evolversi, ed i pensieri che facciamo oggi non sono gli stessi che facevamo all’età della pietra, le emozioni base sono sempre le stesse. Sentiamo come all’età della pietra, nel senso che quando senti paura sempre di quella roba lì si tratta, mentre il mondo che abbiamo intorno non è lo stesso di quello dei cavernicoli.
Ci sono persone che vivono il rapporto con il proprio mondo emotivo con naturalezza senza particolari problemi, che magari hanno avuto qualcuno che ha fatto loro da contenitore e li ha accompagnati nei primi passi di questa realtà interna e relazionale. Ci sono altre persone invece che vivono il presentarsi del mondo emotivo come qualcosa di pericoloso, di disturbante, che magari nel corso del proprio sviluppo evolutivo non hanno saputo dare risposte soddisfacenti alle emozioni insorgenti, o perché non hanno potuto farlo o perché è stato insegnato loro a fare in altri modi. In questi casi le persone, arrangiandosi con quello che hanno a disposizione, mettono in atto strategie alternative compensative per rispondere alle emozioni insorgenti, ad esempio vivendo principalmente nel mondo delle astrazioni, oppure non fermandosi mai un attimo saltando continuamente dal fare una cosa al farne un’altra. Il giudizio alle volte sotteso che sta dietro questo atteggiamento è che il mondo emotivo sia poco importante, trascurabile o addirittura dannoso.
C’è da sottolineare, a giustificazione di tutti noi, che quest’epoca occidentale non ha visto mettere al centro dello sviluppo dell’individuo la mente emotiva. A scuola siamo educati a pensare, ci insegnano a stare attenti, a stare concentrati e a sviluppare le nostre capacità intellettive, ma manca completamente un’educazione emotiva. Non ci insegnano come comportarci con quello che sentiamo, non ci insegnano a cosa serve e come lo possiamo utilizzare.
A mio avviso la mancanza di una educazione emotiva esperienziale è una grave arretratezza del nostro sistema educativo scolastico. Ribadisco: esperienziale, vista la tendenza imperante odierna a digitalizzare tutto, anche ciò che digitalizzabile non è, ovvero l’analogico. A proposito di “digitale” è interessante constatare che non esiste un accordo generale accademico sul numero delle emozioni esistenti, neppure su quelle base. Il rapporto che l’individuo ha con il proprio mondo emotivo trova la sua espressione nel carattere (vedi l’enneagramma, uno strumento di aiuto nella descrizione degli automatismi esistenziali della persona).